XI BIENNALE DI SONCINO, A MARCO

Sboccia tra le strade di un dove senza tempo. Si respira. Si rincorre in ogni angolo perduto e dimenticato di luoghi incastonati nella memoria. Trabocca dagli occhi.
È il rumore dei passi che scricchiola tra i sassi della Rocca Sforzesca e poi, in un attimo, si fa sordo mentre l’io più profondo si perde nelle forme, nei colori, nei particolari, tra le pieghe stropicciate di un’idea. Si immola sull’altare della mera bellezza cruda di un concetto.

Questa è la Biennale di Soncino: arte nell’arte che galleggia tra i mattoni sanguigni e le pietre uggiose. Arte che germoglia dall’asfalto, dagli arbusti tra le lucciole, trasuda dai Sampietrini, si affaccia dai cunicoli e dalle guglie consumate dal vento e dalla pioggia, nei pertugi, tra le ombre disegnate dalle greche del sole della Rocca Sforzesca, traspira dalle vetrate austere, dal ferro imbrunito della Filanda Meroni.

Così, quando la Biennale scorre tra le strade di Soncino, il borgo dissimula sé stesso, truccandosi il volto. Senza indossare maschere, ma, accogliendo in un abbraccio languido l’arte contemporanea, lasciandosela scorrere nelle vene delle origini come linfa di nuova vita.
Contempla. Sorride all’occupazione pacifica di un vaso di Pandora appena scoperchiato.

Cara Valentina